“Nell’arte vedo la terra dell’uomo che prende forma, vedo la trascendenza che protende la mano. Vedo i profili definiti di una relazione, di un contatto, di una dimensione emozionale che traduce in sensazioni il silenzio della rivelazione. Vedo i colori che rivestono l’apofatico, e le parole che danno un suono all’ineffabile. La bellezza è lo splendore della Verità, e “l’arte […] diventa espressione umana dell’inesprimibile divino”.
La missione salvifica della Chiesa si radica e ramifica nello spazio fertile della vitalità spirituale, dell’empatia, della capacità di nutrirsi e di alimentare emozioni. La vocazione cristiana di genesi di una nuova humanitas si ispira alla figura di Gesù il Nazareno, la cui storia muove i primi passi in una bottega, all’ombra di un falegname. Barah, il verbo “creare” di Genesi 1,1, è l’atto creatore dell’artigiano, la trasformazione della materia informe in strumento di miglioramento della vita. La Chiesa assume oggi questo ruolo difficile, in una realtà regolata dalle leggi della comunicazione, in cui l’atto comunicativo ampiamente precede la centralità del messaggio. La sostanza svanisce, lasciando il posto ad involucri vuoti, spesso illusori, generando un sistema di ambiguità culturale, di disinformazione, di diseducazione costante. Non è lecito approfondire, pena il rischio di esporre il fianco agli spigoli delle domande acute.
La Chiesa ha il compito di tutelare la Tradizione, di preservare le forme della trasmissione del senso originario dell’essere comunità. Il patrimonio culturale è testimonianza viva di questa Tradizione, strumento di diffusione del messaggio cristiano, forma di elevazione dell’uomo, attraverso le occasioni di condivisione dell’intensità emotiva dell’esperienza estetica. È fondamento del valore storico della Chiesa, che si riconosce nella ricostruzione dei propri passi, dei propri percorsi, della disseminazione dei propri stimoli interni e delle proprie tensioni. Il patrimonio culturale è attestazione di una vivacità carismatica permanente, di una tendenza istintiva alla ricerca di un’interpretazione più vicina al vero. È presenza dinamica nell’orizzonte statico della storia istituzionale. L’arte ha spesso introdotto stimoli, suggestioni, motivi di ispirazione che, a partire da un colore, hanno risvegliato un carisma, un’intimità spirituale. La storia ha conservato orme e sedimentazioni del processo plurisecolare di inculturazione e di acculturazione della Chiesa tra gli uomini. Inculturazione, per tutte quelle forme di trasmissione costante, limpida, immutata di un messaggio, di un valore rivelato esposto al pericolo della dissoluzione. Acculturazione per ogni caso in cui la religiosità cristiana ha saputo trarre ulteriore motivo di ricchezza e di fecondità, culturale e spirituale, nell’interazione con le culture altre, con le sensibilità differenti. Intrecci e sovrapposizioni di elementi immutati e di elementi mutevoli, di valori ispiratori e di ricchezze irrinunciabili, che hanno condotto la comunità dei credenti attraverso le distanze e le epoche, ponendo le basi per una fecondità artistica senza eguali. Beni artistici, biblioteche e archivi.
La forma in cui i patrimoni della cultura cristiana si sono fisiologicamente sedimentati rispondono ad istanze e ad esigenze differenti del bisogno di risposte, del bisogno di una stabilità culturale che conferisca alla Chiesa la capacità di comunicare con linguaggi diversi, di parlare a sensi diversi. Il ruolo della visualità è in grado di comunicare a prescindere dalla capacità intellettuale di interpretazione, consentendo a ciascuno di comprendere ciò che il cuore – e non necessariamente la mente – può comprendere. È il caso delle rappresentazioni simbolizzate nell’architettura e nella scultura protocristiane, delle miniature didascaliche degli exultet medievali, delle Bibbie illustrate negli affreschi delle chiese, delle Sacre Rappresentazioni rinascimentali, produzioni che di epoca in epoca costituiscono i punti d’appiglio per coloro che scelgono di intraprendere l’ardua salita verso il contatto con Dio. Gli scriptoria, veri luoghi di conservazione e di produzione del sapere, hanno rappresentato per secoli il motore immobile del fermento culturale, del pensiero umano che si evolve, che si fa grande a partire dalla piccolezza delle idee semplici, alimentato dalla circolazione, dallo scambio, dall’interpretazione costante e dall’instancabile interrogazione della verità. Gli archivi, stratificazione delle memorie, hanno determinato, soprattutto a partire dal concilio tridentino, la consapevolezza della Chiesa sulle proprie responsabilità, sul proprio ruolo nel mondo, riconoscendo la priorità delle radici territoriali, e trasferendo in una rinnovata ecclesiologia la coscienza di un ritrovato ruolo missionario. La storia cambia, ma il cambiamento talvolta sembra riconducibile al semplice numero degli anni trascorsi. Le venature che permeano le dinamiche sociali sembrano spesso aver mantenuto caratteristiche costanti. La predicazione, oggi come nel medioevo, aveva un ruolo preciso di diffusione di un messaggio, e si fondava sull’uso di tecniche ben precise a garanzia dell’efficacia della trasmissione del messaggio. L’arte da sempre rispetta il volere dei committenti, e da sempre introduce nella trama evidente messaggi in filigrana, contenuti in trasparenza, nutrendo così vitalità invisibili, altrimenti perdute.
Ancora oggi il patrimonio culturale rappresenta il più prezioso strumento pastorale tra gli uomini. Parlando alle sensibilità e agli intelletti, coinvolgendo i nodi emozionali delle società e degli individui, le arti acquisiscono una capacità testimoniale “multimediale”, capace cioè di coinvolgere mezzi rivolti a sensi differenti. L’eucologia, l’omiletica, l’iconografia, l’architettura, la musica sacra, il teatro, coinvolgono ogni forma di trasmissione e di condivisione del sapere religioso, ne preservano la volatilità, ne tutelano l’energia potenziale. La Chiesa è custode di queste forme di manifestazione della Fede, di questi strumenti di promozione di una humanitas perduta che trae origine proprio dall’uomo che si riconosce degno ammirando il risultato del proprio lavoro, la creazione delle proprie mani. Humanitas che non può prescindere, nella realtà contemporanea, dal travalicamento della dimensione meramente intellettuale del patrimonio artistico, ma che parimenti non può rifugiarsi all’ombra – sfuggente e mutevole – della tutela passiva. Dalle manifestazioni della devozione popolare fino alle più articolate forme di riflessione artistica, la Chiesa cristiana ha il dovere di recuperare i semi dispersi tra le ombre del proprio patrimonio, per seminarli tra gli uomini.
Nell’orizzonte delle arti sarà possibile rianimare il confronto tra le prospettive, il dialogo tra le teologie, finanche gli scontri tra le sensibilità personali. Resterà comunque uno scambio proficuo, condotto in un terreno fertile, da cui non possono che scaturire nuovi stimoli e nuovi frammenti di luce. Ancora una volta, il cristianesimo ritrova la forza della propria radice invisibile nell’irruenza di un elemento visibile, di una bellezza incarnata. La bellezza, tuttavia, sa essere ostile, o incutere timore. Tutelare può significare dunque anche questo: rimuovere il patrimonio dalla staticità del piedistallo, farsi responsabili della rianimazione di beni destinati altrimenti a restare peso morto. Significa riconoscere nella promozione di una radice culturale e artistica una forma alta di missionarietà, uno strumento efficace di evangelizzazione. La Chiesa, attraverso il proprio patrimonio, abita un terreno in cui ogni uomo deve poter entrare, per vedere la bellezza come splendore della Verità. Ruolo del pastore può dunque divenire quello di insegnare al gregge a riconoscere dove la bellezza si nasconde, per fare della condivisione dell’emozione la forza della rinascita del corpo vivo della Chiesa.
Luca Baraldi