L’uomo soffrela nostalgia di un bene possiede piú. La tecnica ha riempito l’uomo di oggetti, ma la bellezza è fuggita lontano così che avvertiamo tutta la povertà della nostra condizione. Ma non è la bellezza ad averci abbandonato, siamo noi che non siamo piú in grado di vederla… e con essa la verità e la bontà. Siamo tentati da ogni evasione possibile pur di abbandonare in fretta un mondo desolato che dà solo nausea e disperazione. Come recuperare lo sguardo capace di cogliere la bellezza del creato… quei cieli che “narrano la bellezza di Dio”?. L’esperienza della bellezza è “estetica teologica”… un itinerario attuale per chi cerca di credere.
H. U. von Balthasar, Gloria
“La nostra parola iniziale si chiama bellezza: l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare; è quello splendore inafferrabile, astro del vero e del bene e del loro indissolubile rapporto.
Il mondo moderno ha preso congedo dalla bellezza disinteressata, per abbandonarsi alla cupidità e alla tristezza.
La bellezza non è piú amata e custodita nemmeno dalla religioneche, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini.
A questa bellezza non osiamo piú credere, e di essa ce ne siamo creata un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero.
La bellezza esige per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa.
Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il giocattolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è piú capace di pregare e, presto, nemmeno di amare.
Il secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle vesti della bellezza fuggente, alle frange svolazzanti del vecchio mondo che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo gli rimangono tra le braccia… le vesti di Elena si dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si dileguano con lui”, Faust II, atto III);
Il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, ormai soltanto musica, dove la nube si dissolve e rimane l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché non c’è piú nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo eros impossibile, che alla fine lo annoia di qualsiasi forma di amore. Ma ciò di cui l’uomo non è piú capace, ciò per cui è diventato impotente, non può piú, proprio perché si sottrae alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di un silenzio di morte.
In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso –, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è piú in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto piú eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici?
In un mondo che non si crede piú capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi ruotano secondo il ritmo prefissato, come macchine rotative o calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto; ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non convince piú nessuno, e la stessa conclusione non conclude piú.
Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “luce” per l’ente, questa luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia piú che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per chi non riesce piú a cogliere il bello”.
H. U. von Balthasar, Gloria, I, Jaca Book, Milano, 1985, 10-12.