Il vescovo di Vicenza suggerisce le tappe del percorso pastorale sull’icona dei discepoli di Emmaus
***Immagine in evidenza: Stefano di Stasio, i discepoli di Emmaus, Nuovo Lezionario CEI, acquerello su carta.
I piedi in cammino e… gli occhi sullo Sconosciuto (Lc 24,15-16)
Lettera per il cammino sinodale nella diocesi di Vicenza
Ai carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Dio che è in Vicenza e tutti gli uomini di buona volontà, grazia e pace nel Signore nostro Gesù Cristo.
Ringraziamo Dio Padre per la vostra fiducia nella vita donata da Lui che si manifesta in molti modi, soprattutto vivendo nella carità operosa a immagine del Figlio e con l’animo pieno di speranza per il fuoco dello Spirito che brucia nel cuore.
I piedi in cammino
Per l’anno pastorale 2023-2024 abbiamo scelto di lasciarci accompagnare dal racconto pasquale dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) soffermando la nostra attenzione nella prima parte del racconto laddove il Signore risorto si avvicina e cammina conversando con loro, ma i loro occhi non erano in grado di riconoscerlo.
Noi tutti e tutte come i due discepoli di Emmaus siamo in cammino: come singoli e come comunità. È un cammino che muove il corpo e lo spirito. Siamo un popolo convocato insieme da molteplici, variegate e differenti esperienze di vita coniugale, familiare, religiosa, diaconale e presbiterale. Uomini e donne, giovani e anziani, fanciulli e adulti, sopresi da tante gioie ma anche segnati da profonde sofferenze e ferite causate da eventi esterni quale è stata la pandemia, come pure da divisioni e violenze inferte dal nostro egoismo. Ci accomunano desideri profondi e lo stare insieme su questo nostro territorio tanto bello per i suoi panorami, le città d’arte, le ville, le abitazioni e gli angoli dei nostri giardini.
Forse non tutti siamo in cammino. Qualcuno è fermo, probabilmente seduto ai bordi di questa nostra storia in attesa di una non ben definita nuova condizione. Alcuni sono lì aggrappati al passato, alle sue tradizioni, al tempo in cui la Chiesa contava davvero; ma sono fermi e le vicende degli uomini sono in costante travaglio e mutamento. Altri vanno di corsa in preda all’ansia di produrre beni e fare molte attività; non disposti a rallentare il passo per condividere le domande che nel profondo della coscienza interrogano il senso della vita.
I due discepoli del Vangelo, certamente vivono della memoria di ciò che è accaduto a Gerusalemme, laddove si è consumata la violenza degli uomini su di un Innocente fino al punto da farlo morire come uno dei peggiori criminali. Eppure non restano immobili nella loro sofferenza come non coprono con l’attivismo le loro paure. Sono in cammino e trovano la forza di stare insieme e narrarsi ciò che vivono. Trovano la forza per condividere ciò che portano nel cuore.
Il racconto non ci dice il nome di uno di questi due discepoli: potrebbero essere anche un uomo e una donna; il discepolo senza nome potrebbe essere un giovane, un adulto o un anziano. Forse l’evangelista ha voluto che ci fosse posto in quel racconto anche per ciascuno di noi. I due discepoli stanno lasciando la grande città di Gerusalemme verso un paesino di nome Emmaus, condividendo la profonda tristezza che li abita per la fine tragica del Maestro sul quale avevano posto tanta speranza.
Nel loro agitato conversare possiamo riconoscere quel sentimento di tristezza e di delusione emersi nei due anni di ascolto del cammino sinodale. Per il vuoto che percepiamo nelle nostre 350 chiese parrocchiali nei giorni di domenica. Per le fatiche che incontriamo nel rinnovare la formazione cristiana di fanciulli e ragazzi cercando di coinvolgere maggiormente i genitori; con risultati ben al di sotto delle nostre attese, complice l’inverno demografico. Nelle comunità parrocchiali ci si sente più soli o addirittura abbandonati quando il parroco non è più residente in canonica. Anche nel presbiterio si percepisce un certo smarrimento per il sovraccarico di responsabilità e la fatica nel leggere questo tempo. La pandemia che sembra non essere del tutto superata, ha lasciato pesanti conseguenze economiche all’interno delle nostre famiglie, nelle case di riposo, negli adolescenti, nel mondo industriale e del lavoro.
Lungo il cammino si fa realmente accanto ai due discepoli il Signore risorto che i due discepoli non riconoscono; pensano ad uno sconosciuto anche poco informato su ciò che è accaduto. Il Signore li provoca a sfogarsi quando chiede: “che cosa sono questi discorsi che state facendo lungo la via?”. Il Signore non ha paura delle nostre lamentele perché Lui prende sul serio le nostre delusioni e cerca di capire che cosa sta dentro ad esse. E lascia del tempo perché possano raccontare che cosa hanno vissuto e che cosa portano nel cuore. Non impone un passo più veloce e non li costringe a ritornare indietro perché hanno sbagliato strada.
E camminando al loro fianco li invita ad avere fiducia in tutto ciò che si riferisce a Cristo nelle Sacre Scritture. Questo Sconosciuto le conosce bene e scalda loro il cuore innestandosi nelle loro delusioni e nelle loro lamentele. Riconosceranno poco dopo ciò che stava accadendo in loro: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava lungo la via, quando ci spiegava le Scritture. Come ha commentato un autore «Non è solo il fascino personale del predicatore a scaldare il cuore, e nemmeno solo la bellezza degli argomenti – due aspetti comunque importanti – ma anche e forse soprattutto il fatto che Gesù predica «lungo la via», facendo strada con loro. Hanno avvertito che quella parola non è pronunciata da una cattedra, ma sulla strada, camminando con loro» (E. Castellucci). La parola che scalda il cuore è quella itinerante, cioè quella parola che nasce dalla condivisione del cammino. Anche se predicata da un pulpito, scalda il cuore perché non è pronunciata da uno che se ne sta seduto alla meta con la tentazione di giudicare chi è dentro o chi è fuori dal sentiero. Scalda il cuore perché si fa carico del cammino di tutti soprattutto di chi fa più fatica.
L’esperienza dei due discepoli di Emmaus ci invita a continuare il cammino sinodale tanto desiderato da papa Francesco. Abbiamo vissuto due anni caratterizzati dall’ascolto lungo la via di tante persone che ci hanno interpellato come singoli e come comunità.
Ora siamo chiamati a compiere un ulteriore passo per un discernimento sapienziale che faccia maturare l’ascolto verso una comprensione evangelica più profonda di ciò che lo Spirito ci dona di vivere in questo nostro tempo; il Papa ci insegnato a leggerlo non semplicemente come “un’epoca di cambiamenti” bensì come “un mutamento d’epoca”. Una lettura sapienziale che avremo modo di vivere in tutta la Diocesi a partire da incontri vicariali per giungere alle parrocchie riunite in unità pastorali. Il cammino troverà un’espressione e una sintesi in una assemblea diocesana che vivremo con la rappresentanza di tutte le comunità cristiane presenti in Diocesi.
Gli occhi sullo Sconosciuto
Meditando questo racconto che si rinnova laddove due o tre sono riuniti nel Suo nome, ci chiediamo se anche nella nostra Chiesa di Vicenza si sono avvicinate realtà che, come per i due discepoli, sono per noi espressioni di quello Sconosciuto. Ne suggeriamo tre.
In primo luogo, balzano ai nostri occhi le tante persone che sono giunte in mezzo a noi negli ultimi mesi per bussare alle porte delle parrocchie, dei comuni e delle nostre case: i migranti. Possiamo dire che sono realmente degli sconosciuti. Hanno compiuto un lungo cammino e la ricerca di una vita migliore, di libertà, di futuro li ha portati accanto a noi. Sconosciuti come lo “sconosciuto”, autentici “forestieri” rispetto alla nostra cultura e vita sociale. Laddove hanno trovato una porta aperta sono entrati.
Un giorno Gesù ha raccontato una parabola sul giudizio finale della storia nella quale vi erano anche i migranti: “ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Chi ospita uno straniero accoglie Gesù, chi non lo ospita non accoglie Lui. Spesso i nostri occhi faticano a riconoscerlo.
Bussando alla nostra porta che cosa ci sta chiedendo il Signore con questi fratelli e sorelle? Ci chiede forse di conversare in dialogo sincero e aperto anche con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni? Ci chiede di accogliere il Suo Corpo che porta i segni delle “piaghe gloriose” presenti nelle storie e nel corpo di questi nostri fratelli e sorelle?
Possiamo qui ricordare un testimone. Il 15 settembre di tre anni fa veniva ucciso a Como don Roberto Malgesini, mentre compiva il suo servizio, la sua missione: offrire la colazione a chi vive in strada. Il suo martirio accresca in noi l’audacia della carità.
Una seconda realtà che alla chiesa e forse pure come società appare lontana quasi come quello Sconosciuto è costituita dai ragazzi e dai giovani. A loro rivolgiamo un saluto beneaugurante in questi primi giorni di scuola e università.
Fatichiamo come adulti a parlare la loro lingua e incontriamo difficoltà nell’interpretare il loro vissuto. Non riusciamo a riconoscere le ferite profonde inferte con l’isolamento causato dalla pandemia. Siamo sconvolti per alcuni fatti di violenza ma fatichiamo a sentirci chiamati in causa come adulti.
Ragazzi e giovani camminano al nostro fianco e con le molteplici esperienze associative e parrocchiali vissute quest’estate (Azione Cattolica, Agesci, Sermig, Missio Giovani) – una per tutte nella Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona – ci stupiscono per la gioia di vivere, per il profondo desiderio di riconciliazione, per il silenzio contemplativo di cui sono capaci davanti all’Eucaristia.
Li abbiamo vicinissimi in casa, ma sappiamo camminare con loro, al loro passo? Il Signore ci invita come Chiesa a camminare con il passo dei giovani? Ad accoglierli prima di giudicarli? A farci carico delle loro fragilità? Ci lasciamo interpellare dalle loro visioni sulla Chiesa e sul mondo?
Possiamo invocare l’aiuto di un altro testimone. Trent’anni fa, come oggi, al Brancaccio di Palermo, veniva ucciso dalla mafia don Pino Puglisi. Parroco, per molti anni insegnante, un grande educatore di ragazzi e giovani, capace di leggere il loro vissuto e di accompagnarli a riconoscere la chiamata del Signore.
Vi è, infine, la creazione, uscita dalle mani di Dio e affidata alle nostre mani, ricca di splendore e armonia. Essa – come afferma l’apostolo Paolo – sottoposta a caducità “è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19). Oggi essa ci sta rivolgendo un grido per le ferite che noi, figli di Dio, le abbiamo provocato anche nel territorio vicentino.
Noi figli di Dio abbiamo inquinato l’acqua e siamo costretti ad individuare confini nuovi, non più geografici e ridurre la molteplicità dei colori del creato al rosso e all’arancione nelle “zone” più ammalate.
“Sappiamo che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto” (Rm 8,22). E ai credenti il compito di cooperare perché la creazione venga liberata dalla “schiavitù della corruzione”.
Il Creatore cammina al nostro fianco e ci chiede forse di ascoltare il respiro della natura? Di attivare il dialogo nelle nostre comunità cristiane con le altre confessioni religiose e con ogni uomo di buona volontà, per la salvaguardia del creato? Ci è chiesto di convertire il nostro operato da predatori dei doni di Dio a custodi e contemplativi della creazione?
«L’esempio di santa Teresa di Lisieux ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo» (Papa Francesco, Laudato si’, n. 230).
Carissimi, presso questo Santuario di Monte Berico, ci rivolgiamo a Maria nel giorno in cui la celebriamo Addolorata ai piedi della croce del Figlio. E la invochiamo con l’antica preghiera: Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio; non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.
Vicenza, 15 settembre 2023
Giuliano Brugnotto, vescovo