“L’Incompiuta” di Brendola VI

 

Livia Giani, nel gennaio 2019 pubblicò  un interessante studio sul riuso di chiese non più legate al culto o dismesse. il tema non è nuovo nella storia, e anche ai primordi del cristianesimo, con la trasformazione degli edifici pagani, o “tramite adattamenti dell’esistente mediante demolizioni, aggiunte, riutilizzi… anche in virtù del risparmio di materiali e la volontà di utilizzare il patrimonio esistente, soprattutto se qualitativamente rilevante.”

Nell’ottocento si riaccese il dibattito, in ambito cristiano, come pure negli ambienti culturali e accademici., fra eredità culturale e valorizzazione.  John Ruskin scriveva: “Non abbiamo alcun diritto di toccare gli edifici del passato. Non sono nostri. In parte sono di proprietà di coloro che li hanno costruiti, in parte di tutte le generazioni dell’umanità che ci seguiranno. 

Il doppio binario della conservazione e della valorizzazione guida ancor oggi la riflessione che muove le mosse da orizzonti talvolta assai diversificati o fra soluzioni spesso inquietanti: riemerge il delicato tema del rapporto fra contenuto (nuovo) e contenitore (antico). Scrive Giani: “ Negli anni a venire gli architetti si troveranno sempre di più ad avere l’obbligo o l’opportunità di riutilizzare edifici che hanno perso la loro funzione originaria e che sono obsoleti per quanto riguarda gli standard di utilizzo moderni (materiali, comfort, norme di sicurezza etc), ma qualsiasi intervento di recupero  e di riuso sollecita un largo spettro di conoscenze e competenze, che vanno dal restauro al progetto architettonico, al riassegnare una nuova funzione. Tutto questo richiede una consapevolezza dei temi in gioco e una conoscenza delle dinamiche e dei valori che gli edifici portano con sé. “

Non secondario il tema economico, derivante dalle nuove pratiche – spesso virtuose – guidate dal principio “riutilizzare spazi anziché consumare paesaggio”. Il patrimonio degli edifici religiosi dismessi costituisce una risorsa sia economica che sociale. La forma architettonica infatti raccoglie e trasmette concetti di diverso tipo. Da un lato elementi che si riferiscono alle proprietà dell’architettura in sé: spaziali, costruttivi, strutturali, tecnologici, materiali; dall’altro elementi che si riferiscono alla dimensione simbolica, sociale, economica e culturale. Il riconoscimento simbolico di un edificio assume un valore molto importante, al cui spesso è abbinato anche una qualità storica ed artistica del manufatto. Nathalie Heinich, nel suo saggio “La fabrique du patrimoine” si interroga sul processo che porta un edificio ad essere considerato un “monumento storico”: per la sociologia, come per noi, il patrimonio è una “essenza” derivabile dalla ricerca di un principio trascendentale, bensì un fenomeno socialmente costruito.

Il concetto di patrimonio indica una corda sensibile della comunità religiosa vivente e in quanto tale celebrante. Mentre dal pdv culturale il luogo di culto raccoglie in sè una delocalizzazione innanzitutto culturale, la salvaguardia e patrimonializzazione dell’architettura religiosa pone  la questione dei valori comunitari, non sempre pienamente oggettivabili, ma in grado di muovere sensibilità diverse e non solo guidate da motivazioni confessionali pubbliche, ma certamente implicanti orizzonti concettuali e simbolici sui quali una comunità si riconosce e si cotruisce. Per Heinlich “I giudizi di valore sono la risultante di un processo di valutazione fondato allo stesso tempo sulle proprietà oggettuali degli oggetti, nel senso di “appigli” che offrono alla percezione; sulle rappresentazioni collettive e le “grammatiche” assiologiche di cui gli attori sono, in diversa misura, depositari; e sui limiti e le risorse legate alla situazione concreta di valutazione. “ Per Giani, i valori sono integranti e costituenti il “patrimonio” insieme materiale e immateriale, valoriale e sociologico,  senza il quali una prospettiva idealistica disincarnerebbe ogni vissuto. Questi valori sono in sé associati ad una comunità che li crea, li esprime, li fa evolvere, li riconosce e intende custodirli. Per questo non è possibile staccare l’edificio dai suoi valori connessi, a costo di perdere una parte integrante e fondativa ideale materiale insieme. Il progetto di conservazione e riuso dovrebbe essere un progetto che si pone come garante della salvaguardia di questo patrimonio condiviso materiale e immateriale. Il progetto di restauro assume dunque una doppia valenza, “poiché in esso convivono conservazione e creazione, autentico e nuovo. Nella conservazione si tiene conto della sostanza materiale e le sue condizioni; nella creazione si agisce inserendosi, auspicabilmente con ponderazione, prolungando, completando e sovrapponendosi all’esistente”.

 

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