DOMENICA 6a ordinaria (anno C)

Sieger Köder, Uno straniero aiuta, Via Crucis, staz. n.5, Chiesa di Notre Dame Des Peines, Rosenberg, Germania, mista su carta.

L’arte

Sieger Köder, sacerdote cattolico e artista, nacque il 3 gennaio 1925 a Wasseralfingen, in Germania. Fu soldato di frontiera e prigioniero di guerra, frequentò l’Accademia d’arte di Stoccarda e studiò filologia inglese all’università di Tubinga. Dopo gli studi teologici, nel 1971 venne ordinato prete cattolico ed esercitò il ministero come parroco ad Hohenberg e Rosenberg. Morì nel 2015. Chi fu completa sinergia fra il Köder ministro e l’artista: potremmo dire che usasse la pittura come Gesù usava le sue parabole. Come Gesù “rivelava” la profondità del messaggio attraverso le metafore, Koder raccontava il vangelo fatto di luce e colore. L’opera “Simone di Cirene” fa parte di un ciclo pittorico sull’intera Passione di Gesù, nel quale è riconoscibile la memoria dolorosa del periodo Nazista, della guerra, della prigionia e dell’Olocausto. Ritengo che questa immagine illustri plasticamente il senso delle Beatitudini, proclamate nella liturgia di questa domenica. Innanzitutto l’immagine raffigura il gesto di Simone di Cirene mentre aiuta Gesù a portare la croce verso la collina del Golgota. Le Beatitudini sono dunque il progetto esistenziale di Gesù, perché egli per primo le ha annunciate e vissute caparbiamente, fino alle conseguenze estreme (significato cristologico). E Simone di Cirene intercettato sul cammino di Gesù accetta di farlo suo, di condividerne il carico (significato ecclesiale). In questo senso Simone – come ogni vero discepolo – sono viaggiatori che percorrono la stessa strada (significato teologico). In questo cammino notiamo che una mano sorregge il corpo altrui e l’altra sostiene la stessa croce: alla fine entrambi si sorreggono ed entrambi portano lo stesso peso. C’è un mistero d’identificazione, alla maniera di Francesco d’Assisi), che sta nell’imitazione sine glossa del Vangelo: spalla a spalla, guancia a guancia. Il discepolo non solo apprende ma si fa simile a colui che ama e da cui è dolorosamente amato (significato antropologico). Le beatitudini sono insieme universalistiche e profetiche, nel momento in cui si riconosca il Maestro in tutti i crocefissi della storia. Le Beatitudini inevitabilmente porteranno il discepolo ad assumere le contraddizioni e i rifiuti del mondo (significato soteriologico). “Se hanno odiato me odieranno anche voi”… “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” … “Anche il mio servo sarà dove sono io” (significato morale). Ma è anche il progetto della compassione e della consolazione, della speranza nel futuro (significato escatologico). «Portate gli uni i pesi degli altri» (Gal 6,2), così che la comune emarginazione li renda fratelli. Per il condannato, lo straniero diventa un amico; per lo straniero, il condannato diventa un pari: ora i volti non si distinguono più. L’amicizia o trova o rende uguali (Aelredo di Rievaulx)

Intro

Nel Vangelo di Luca, le beatitudini si rivolgono a coloro che hanno già scelto il Signore, ai discepoli, ai quali è chiesto di abbandonare interessi personali e hobbyes (Lc 9,23) quando se ne rivelassero inutili o incompatibili alla missione, di  rinunciare alle comodità e al prestigio (Lc 9,58), di accettare il rifiuto e il disprezzo (cf. Gv 17,14), l’allontanamento dalle cerchie del potere, dai soldi e dall’onore (cf. Gv 16,2). 
Un credente che riesce dappertutto, che riceve dal mondo ossequi e considerazione s’inquieti perché sarà inghiottito e digerito dal mondo che ama possedere (cf. Gv 15,19). Di fatto da questo stesso è già posseduto.
Non si tratta di demagogia né di paura della vita. Gesù non è un politico o un dotto professore di etica. La sua predicazione è una denuncia profetica: frasi essenziali fatte di forti contrasti. 
Le sue parole rimandano a situazioni correnti: l’abbondanza dei beni, la ricerca insaziabile del piacere, il desiderio del successo e dell’applauso,… attese e pretese che  producono vanità (falsa sicurezza), che rendono orgogliosi (fanno credere del nostro primato sugli altri), divinizzano (coloro che posseggono e fanno prostrare davanti a loro), induriscono (rendono duri di cuore e privi di solidarietà), corrompono (finiscono per opprimere, credendo di farlo in nome di Dio).  Le beatitudini sono un serio invito a cercare la verità di Gesù per non sbagliarci nel momento decisivo. 

Il vangelo
Lc 6,17.20-26   –  Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. 
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Le parole

Kenosis. Gesù discende, sta in mezzo alla gente, alla folla. Gesù vive la fatica della confusione, dell’essere chiamato e tirato da uno e dall’altro. C’erano tanti suoi discepoli (una folla) e poi un’altra folla, di gente comune, venuta lì per i motivi più diversi: curiosità, interesse, desiderio, oppure per un banale passaparola, non importa: Gesù discende in questi due mari di folla, vive la moltitudine che lo assedia, continuando il mistero dell’incarnazione in tutte le sue conseguenze. Gesù vive Lui in prima persona ciò che da lì a poco annuncia e insegna.

Beati. Gesù dichiara beati quattro categorie di persone: chi è povero, chi ha fame, chi piange, chi è odiato per la sua fede. Tuttavia le cose non stanno proprio così, anzi per nulla.
– Gesù non sta dicendo: “Beato chi sta male”! Un simile messaggio invaliderebbe tutto il vangelo e la persona stessa di Gesù, che è venuto in questo mondo “perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. (Gv 15,11). Beato, letteralmente significa “colui che è reso felice”: se devo essere reso felice vuol dire che non lo sono, come non lo sono quei quattro gruppi di persone nominate da Gesù. La beatitudine necessita di un percorso, dal peggio al meglio, dal triste al felice, dal buio alla luce.

Seguaci. Il Maestro sta parlando non alla folla generica, ma ai suoi discepoli, coloro che lo seguono e lo hanno come Maestro. Senza quel voi decade tutta la beatitudine, senza quel voi non c’è alcuna possibilità di miglioramento. Non è beato chi sta male (ovviamente), ma chi, pur essendo nel dolore, accetta la logica dell’incarnazione e vive tutto il dolore radicato nell’amore, fondato nella certezza incrollabile che Dio rimane vicino, e che questa fede lo condurrà, attraverso le sue strade, all’alba di un giorno migliore.

Nelle quattro beatitudini ci sono cinque complementi di tempo: ora, quando, in quel giorno: l’essere beati non è un attestato, un diploma da incorniciare, ma è una disposizione interiore dinamica di chi vive il vangelo nella concretezza della propria carne, giorno dopo giorno, continuando e prolungando l’incarnazione del Verbo. Potremmo dire che non si è mai beati abbastanza, non si è mai beati una volta per tutte.

 I “guai“, anch’essi quattro, speculari alle quattro beatitudini. Questi quattro gruppi hanno già avuto beatitudine, infatti sono ricchi, sazi, ridono, sono stimati, tutte cose belle e non condannabili in se stesse. Anche qui c’è bisogno del “voi” che, suo malgrado, sostiene il guai. Dal meglio al peggio, da felice a triste, dalla luce al buio.

Confronto. “Beati” e “guai” sono come un cursore molto sensibile che regola le nostre vite, un cursore regolato non tanto dal bene o dal male (saremmo rimasti agli dei dell’Olimpo), ma dalla personale adesione e risposta a una relazione d’amore con Colui che, incarnandosi, ha vissuto il “Guai” per poter offrire il “Beati voi” a chiunque è nel “Guai”, oppure, in modo meno contorto: Gesù è il Maestro che ti accompagna giorno dopo giorno affinché tu possa spartire con Lui il tuo guai, e Lui possa diventare, sempre più, la tua beatitudine.

La teologia (H.U. von Balthasar)

«Beati voi poveri». Nel Vangelo ci sono quattro beatitudini e quattro «guai». Che cosa significa «beato»? Di sicuro non «felice» nel senso che gli uomini danno a questa parola. Sicuramente non è un incitamento ad andare per la propria strada consolati e di buon animo. Non significa propriamente nulla che appartenga all’uomo, che l’uomo sente e sperimenta, ma qualcosa in Dio che concerne quest’uomo. Gesù parlerà in questo contesto di «ricompensa», che pure è una parola simbolica; si tratta del valore che quest’uomo ha per Dio e in Dio, qualcosa che in Dio è senza tempo e che per l’uomo diverrà manifesto a suo tempo. E analogamente per i guai. I poveri, ai quali appartiene il regno di Dio, dunque i poveri di Dio, come li chiamava il Vecchio Patto, mostrano che alla loro povertà corrisponde un possesso in Dio: Dio li possiede e perciò possiedono Dio. Così anche per quelli che piangono e hanno fame e infine per coloro che sono odiati a causa di Cristo: essi sono dal Padre amati in Cristo, il quale anche per causa del Padre è stato odiato e perseguitato dagli uomini. Come i poveri hanno da valere come poveri in Dio, allora i ricchi come ricchi senza Dio, ma per se stessi ricchi e sazi e ridenti, e lodati dagli uomini; essi non hanno nessun tesoro in cielo, e perciò tutto quello che possiedono è solo apparenza che passa. I salmi lo ripetono di continuo, le parabole di Gesù (l’epulone, il contadino ricco del suo grano) anche. infine i poveri, quelli realmente poveri e non ricchi in segreto, accumulano un capitale in cielo. Ma Dio non è una banca, e l’autodedizione a Dio non è un istituto di assicurazione: in quella stessa dedizione sta la beatitudine. 

 «Maledetto l’uomo, benedetto l’uomo». Nella prima lettura, l’Antico Patto sa tutto ciò già in modo sufficiente. I Benedetti sono quelli che si affidano al Signore, che estendono le radici fino al «fiume» di Dio o, come dice Agostino, hanno le radici nel cielo e di lì crescono verso la terra. Questo semplice affidarsi al Signore basta perché siano «beati» nel senso di Gesù, e in tutti i dispiaceri terreni, che dovranno forse molto amaramente attraversare, non devono aver paura della siccità. A questo viene contrapposto «l’uomo che confida nell’uomo», o su valori umani e terreni, e che perciò «si allontana dal Signore»: qui abbiamo il commento su ciò che Gesù intende per «guai» sui ricchi e sui sazi. La semplice antitesi del profeta, ripetuta dal salmo responsoriale, divide gli uomini – senza curarsi di finezze psicologiche – in due campi: o essi vivono con Dio e per Dio o tentano di vivere per sé e per mezzo di sé. Anche nel giudizio di Gesù esistono soltanto due classi di uomini: pecore e capri. 

Anche la seconda lettura divide l’umanità in due categorie: quelli che credono alla risurrezione di Cristo (e alla nostra), e quelli che la rifiutano. Se i morti sono «perduti» «allora è vana la vostra fede», e «noi siamo più miserabili di tutti gli altri uomini» che almeno hanno puntato su reali beni terreni e non su un Dio di un “aldilà” che non esiste. La loro vita era in qualche modo piena: di relazioni umane gratificanti, di piaceri di ogni specie, di contentezza con se stessi. Questo è almeno qualcosa, mentre la fede nella risurrezione è un gioco dove il giocatore alla fine perde. Tutti i testi della celebrazione odierna esigono da noi una decisione ultima: siamo sufficienti a noi stessi oppure sempre dobbiamo noi stessi al nostro Creatore e Salvatore? Una terza strada tra le due non esiste. 

Esegesi (B. Maggioni)

Dopo la scelta dei Dodici su il monte – il monte indica il luogo della sfera divina della condizione divina – scrive l’evangelista che “Gesù, disceso con loro, con i Dodici, si fermò in luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli”, ed è ai discepoli che Gesù rivolge il suo insegnamento, le Beatitudini.

Le Beatitudini, nei Vangeli, le troviamo in Matteo e in Luca; la formula è differente, ma il messaggio è identico. In Matteo sono un invito a chi vuole entrare in questa beatitudine; nel Vangelo di Luca, invece, c’è una constatazione per quelli che già invece hanno lasciato e l’hanno seguito. Allora, scrive l’evangelista, “Alzati gli occhi verso i suoi discepoli”: è importante! Gesù non sta rivolgendosi alla folla, all’umanità, ma a quelli che hanno lasciato tutto e l’hanno seguito. E dice Gesù «Beati» – beati significa ‘immensamente e straordinariamente felici’, – «voi, poveri», si riferisce ai discepoli, Gesù non sta beatificando la povertà! I poveri sono disgraziati che è compito della comunità cristiana togliere dalla loro condizione di povertà. Mai nel Vangelo Gesù proclama “beati” i poveri! Essere poveri è un elemento negativo che è compito del Signore sradicare da questa terra, grazie alla collaborazione di quanti lo vorranno aiutare.

Ma qui Gesù si riferisce a quei discepoli che, come abbiamo sentito nel capitolo 5, versetto 11, lasciarono tutto e lo seguirono, quindi sono entrati in una condizione di povertà. Ebbene, assicura Gesù, “voi poveri, che a avete lasciato tutto e mi avete seguito, beati perché vostro è il Regno di Dio”. Regno di Dio non indica un’estensione geografica, ma significa che Dio può governare come re, cioè il Padre si prende cura di voi. Quelle conseguenze negative che la scelta per la povertà, la scelta di seguire Gesù, possono far nascere, verranno attenuate, verranno eliminate, dal fatto che il Padre si prende cura di voi. Praticamente l’evangelista sta dicendo “voi, che avete fatto una scelta in favore degli altri, non preoccupatevi perché Dio si prenderà cura di voi”; ecco perché sono beati.

Poi l’evangelista passa in esame gli eventuali elementi negativi che questa scelta comporta: la fame, il pianto, la persecuzione. Ebbene, in ognuno di questi elementi questi discepoli sono beati appunto perché il Padre si prenderà cura di loro e se avranno fame saranno pienamente saziati, se piangeranno, rideranno e, anche quando nascerà la persecuzione, sapranno che il Padre sta sempre dalla loro parte – persecuzione che nasce ovviamente a causa del Figlio dell’Uomo. E infatti Gesù dice addirittura “Rallegratevi nel momento della persecuzione, della sofferenza”, non per masochismo, ma perché “la vostra ricompensa è grande nei cieli”. Il cielo è una maniera per indicare Dio, cioè “Dio sta dalla parte vostra, Dio si prende cura di voi”. E poi, ecco l’importante dichiarazione di Gesù, “allo stesso modo infatti agivano i loro padri”. Stranamente Gesù non dice “i nostri padri”, Gesù prende le distanze dal suo popolo, “i loro padri con i profeti”. Gesù sta equiparando il ruolo del discepolo a quello del profeta.  Chi è il profeta? Colui che rende visibile nella propria esistenza il Dio invisibile. La scelta, l’adesione al suo messaggio, trasforma il discepolo in profeta. Quindi, come non sono stati compresi, accettati, ma anzi perseguitati, i profeti, così sarà di voi.  Poi il tono cambia, ma Gesù qui non usa la parola “Guai!” L’espressione greca Ouai, si rifà a un termine ebraico Hôi, che è il lamento funebre. Gesù non minaccia, ma Gesù piange già come morti, come cadaveri. Quindi non è una minaccia che Gesù rivolge a certe categorie, ma Gesù, mentre i discepoli hanno scelto la vita perché si dedicano agli altri, quelli che pensano soltanto a sé Gesù li piange come già morti. Quindi non minacce, ma lamenti. “Ahi a voi” – quindi non “guai” – “ricchi”, cioè quelli che causano la povertà, “Ahi a voi che siete sazi”, quelli che causano la fame, “Ahi a voi che ora ridete”, cioè quelli che sono stati la causa della sofferenza.

E conclude: “Ahi a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi”. Il criterio di autenticità del profeta è il rapporto con il sistema. Se il sistema ti incoraggia, ti loda, ti applaude, significa che hai tradito il messaggio di Gesù. Quando, invece, il sistema di potere che regge la società, ti contrasta, ti perseguita, ti calunnia, rallegrati perché sei sicuro di stare dalla parte del Signore! Infatti, conclude Gesù, “Allo stesso modo infatti agivano i loro padri” – di nuovo Gesù prende le distanze – “con i falsi profeti”. Quindi quando la società applaude stiamo sicuri che questa persona non è un inviato, ma un traditore del messaggio di Gesù, appunto, un falso profeta. Mentre il profeta rende visibile l’immagine del Dio invisibile, il falso profeta è quello che – per usare il linguaggio dei profeti – “intonaca le loro malefatte”, di quelli del sistema. (P. A. Maggi, OSM, 2010)

I Padri

Guadagnare Cristo

Che cosa si conquista? Qual è il premio? Quale la corona? A me pare che ciascuna delle cose che speriamo non sia null’altro che il Signore stesso. Lui è l’arbitro tra coloro che gareggiano e la corona di quelli che vincono; Lui divide l’eredità ed è Egli stesso la buona eredità; Lui è la porzione ed è Colui che ti dona la porzione; rende ricchi ed è Lui stesso la ricchezza; ti indica il tesoro ed è Lui stesso il tesoro per te. Lui ti conduce a desiderare la bella perla e si offre in vendita a te che ti adoperi in un giusto commercio. Per guadagnarlo, dunque, come si fa in piazza, scambiamo ciò che non abbiamo con ciò che abbiamo. Se siamo perseguitati, perciò, non ci affliggiamo, ma piuttosto rallegriamoci, perché grazie all’allontanamento dagli onori terreni siamo sospinti al bene celeste, secondo la promessa di Colui che dice che sono beati i perseguitati per causa sua, poiché il regno dei cieli è loro, per grazia del Signore nostro Gesù Cristo, a Lui è la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Gregorio di Nissa, Orazione VIII, Sulle Beatitudini.

La sequela

I buoni cristiani son tutti al seguito dell’Agnello. 28. 28. Seguano pertanto l’Agnello i fedeli che hanno perso la verginità fisica: non però dovunque egli vada, ma fin dove essi lo potranno. Possono infatti seguirlo dovunque, fuorché là dove egli avanza per la gloria della verginità. Beati i poveri di spirito! (Mt 5, 3) Imitate colui che, essendo ricco, si è fatto povero per voi (2 Cor 8, 9). Beati i miti! (Mt 5, 4) Imitate colui che disse: Imparate da me, perché sono mite ed umile di cuore (Mt 11, 29). Beati coloro che piangono! (Mt 5, 5) Imitate colui che pianse sopra Gerusalemme (Cf. Lc 19, 41). Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia! (Mt 5, 6) Imitate colui che disse: Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 4, 34). Beati i misericordiosi! (Mt 5, 7) Imitate colui che prestò soccorso all’uomo ferito dai briganti e abbandonato ai margini della strada mezzo morto, in condizioni disperate (Cf. Lc 10, 30- 35). Beati i puri di cuore! (Mt 5, 8) Imitate colui che non commise peccato e sulla cui bocca non si è trovato inganno (1 Pt 2, 22). Beati i pacifici! (Mt 5, 9) Imitate colui che pregò per i suoi carnefici: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Beati i perseguitati per amore della giustizia! (Mt 5, 10) Imitate colui che patì per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme (1 Pt 2, 21). Coloro che imitano l’Agnello in queste virtù, in queste stesse ne seguono le orme. E in tale via possono, certo, camminare anche gli sposati, i quali, benché non ricalchino in modo perfetto tali orme, tuttavia sono incamminati per la stessa via. Agostino, Trattato sulla Verginità consacrata, 28.

Chi è mite

Beati i miti – è detto – perché possederanno in eredità la terra (Mt 5, 4). Tu dunque desideri possedere la terra; bada però di non essere posseduto dalla terra. La possederai se sarai mite, ma ne sarai posseduto se sarai disumano. Inoltre quando senti parlare del premio che ti vien presentato, che cioè possederai in eredità la terra, non allargare la borsa della tua avarizia, per cui vuoi possedere adesso la terra escludendo, anche con qualsiasi mezzo, il tuo vicino; non lasciarti ingannare da una tale idea. Possederai davvero la terra quando starai unito a Colui che ha fatto il cielo e la terra. Essere mite vuol dire non resistere al tuo Dio in modo che nel bene che tu compi sia lui a piacerti e non tu stesso, e nel male che soffri giustamente non sia lui a dispiacerti ma tu a te stesso. Poiché non è cosa di poco conto se piacerai a lui dispiacendo a te stesso, mentre dispiacerai a lui se piacerai a te stesso.

Agostino, Sermone 53

Parallelo tra i sette gradi di Isaia e le otto beatitudini del Vangelo.

3. «Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5, 3)»: sono questi gli umili che qui nella valle offrono trepidanti a Dio il loro cuore affranto e umiliato. Di là salgono alla pietà non opponendo resistenza alla volontà di Dio, sia quando essa si esprime nelle sue parole, ed essi non ne capiscono il senso, sia nel suo manifestarsi nell’ordine e nel governo del creato, dove la maggior parte degli avvenimenti non si compie in modo conforme ai desideri particolari degli uomini, e quindi si deve dire: Non come voglio io, ma come vuoi tu, Padre (Mt 26, 39). Infatti è detto: Beati i mansueti perché erediteranno la terra (Mt 5, 4): s’intenda non la terra dei mortali, ma quella di cui è scritto: Tu sei la mia speranza, la mia sorte nella terra dei viventi (Sal 141, 6). Per questa loro pietà essi meriteranno di salire alla scienza: non solo conosceranno il male dei propri peccati passati, per cui piansero nel primo grado della penitenza, ma capiranno anche quale male sia inerente alla nostra condizione mortale di lontananza dal Signore, anche quando arride la felicità terrena. E` scritto infatti: Chi accresce il sapere, aumenta il dolore (Qo 1, 18), e anche: Beati gli afflitti perché saranno consolati (Gal 6, 14). Dal pianto essi si elevano alla fortezza perché il mondo sia per essi crocifisso, ed essi per il mondo, perché non si spenga la carità in questo mondo perverso e iniquo, ma si continui a patire la fame e la sete di giustizia finché saranno saziate nella immortale società dei santi e degli angeli: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati (Mt 5, 5. 6). Ma la nostra vita è esposta al turbamento delle tentazioni e degli scandali per cui fu detto: Guai al mondo per gli scandali! (Mt 18, 7), ma quando qualcosa di colpevole si insinua a poco a poco in noi quasi furtivamente, sorprendendo la nostra debolezza di uomini, non deve mancare il consiglio. In questa vita mortale non si può raggiungere un grado di fortezza così alto che, nella continua lotta che si deve combattere con l’astuto avversario, non si possa talvolta essere feriti. Questo vale soprattutto nelle tentazioni della lingua, per cui: Chi dice al fratello stupido.. . sarà sottoposto al fuoco della Geenna (Mt 5, 22). Dunque avere il consiglio comporta che si faccia quello che dice il Signore: Perdonate e vi sarà perdonato (Lc 6, 37). Come infatti il quinto dei gradini dell’ascesa che Isaia insegna, è il consiglio, così la quinta delle beatitudini proclamate dal Vangelo dice: Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia (Mt 5, 7). Segue in Isaia come sesto grado l’intelletto: una volta che il cuore è purificato da tutte le false vanità inerenti alla carne, esso può volgersi con tutta purezza al suo fine. Perciò al sesto posto sta anche l’altra parola del Signore: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Una volta poi che si sia giunti al fine, il cammino è concluso: si trova quiete e si esulta nella pienezza della pace. Tale fine è costituito da Cristo Dio, poiché è scritto: Fine della legge è Cristo perché sia data la giustizia a chiunque crede (Rm 10, 4). Sapienza di Dio è Cristo, Cristo è Figlio di Dio: in lui si diventa sapienti, in lui si diventa figli di Dio, e questa è la pace vera ed eterna. Quindi come la sapienza occupa il settimo grado nell’ordine ascendente, che Isaia percorre in senso discendente per farsi nostro maestro, così il Signore, che è colui che ci fa salire, pone come settima beatitudine: Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5, 9). Poiché abbiamo ricevuto queste promesse e siamo diretti a Dio per tale cammino in salita, dobbiamo sopportare tutte le asprezze e le fatiche di questo mondo: non lasciamoci piegare dalla sua crudeltà, vinta la quale godremo la pace eterna. A questo ci esorta l’ottava beatitudine, mostrandoci ormai il fine che raggiungeremo: Beati i perseguitati per causa della giustizia perché per essi è il regno dei cieli (Mt 5, 10).

Agostino, Sermone 347,3

Beati gli operatori di pace

Lo spirito Santo ci dà questo avvertimento : « Cerca la pace e perseguila » (Sal 34, 15). Il figlio di pace deve cercare e perseguire la pace. Chi conosce e ama il vincolo della carità deve preservare la sua lingua dal peccato della discordia. Fra le sue prescrizioni divine e i suoi comandamenti di salvezza, il Signore, la vigilia della sua Passione, ha aggiunto questo : « Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace. » (Gv 14, 27) Tale è l’eredità che ci ha lasciata : la promessa di tutti i doni, di tutte le ricompense che vediamo in prospettiva, è stata legata alla custodia della pace. Se siamo eredi di Cristo, rimaniamo nella pace di Cristo. Se siamo figli di Dio, dobbiamo essere pacifici : « Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio. » (Mt 5, 9) Bisogna che i figli di Dio siano pacifici, miti di cuore, semplici nelle parole, in perfetto accordo di sentimenti, uniti fedelmente con il vincolo di un pensiero unanime. Questa concordia esisteva un tempo, sotto l’autorità degli Apostoli. In questo modo, il nuovo popolo dei credenti, fedele alle prescrizioni del Signore, mantenne la carità. Da lì sorge l’efficacia delle loro preghiere : potevano essere sicuri di ottenere tutto ciò che domandavano alla misericordia di Dio. (San Cipriano, sec. III).

Delle virtu’ che danno lode a Dio

Dove c’è carità e pazienza, ivi non c’è timore né ignoranza.

 Dove c’è pazienza e umiltà, ivi non c’è né ira né turbamento.

Dove c’è povertà e letizia, ivi non c’è cupidità né avarizia.

Dove c’è quiete e meditazione, ivi non c’è inquietudine.

Dove c’è il timore di Dio a custodire la porta, ivi il nemico non può trovare il modo di entrare.

Dove c’è misericordia e discrezione, ivi non c’è né superficialità, né durezza.

Beato il servo che si fa un tesoro in cielo dei  beni che il Signore gli confida, e non desidera di manifestarli agli uomini con la speranza di mercede, perché l’Altissimo stesso manifesterà l’opera di costui a chiunque gli piacerà. Beato il servo che custodisce i segreti del Signore in cuor suo.

(Francesco d’Assisi, Saluto alle virtù, FF 256-258).

Beati i perseguitati per causa della giustizia

La morte di Cristo è all’origine di una folla innumerevole di credenti. Per la potenza dello stesso Signore Gesù, e grazie alla sua bontà, la morte preziosa dei suoi martiri e dei suoi santi ha fatto nascere una grande moltitudine di cristiani. Infatti, la religione cristiana non è mai stata annientata dalla persecuzione dei tiranni e nemmeno dall’omicidio ingiustificabile degli innocenti , piuttosto essa ne ha tratto ogni volta un grande accrescimento.

San Giovanni, che ha battezzato Cristo, ne è per noi un esempio. Erode, questo re infedele, volle, in fedeltà alla propria promessa, cancellare completamente dalla memoria degli uomini, il ricordo di Giovanni. Invece, non soltanto Giovanni non fu annientato, ma migliaia di uomini, infiammati dal suo esempio, accolsero la morte con gioia per la giustizia e la verità… Quale cristiano, degno di questo nome, non venera oggi Giovanni, colui che ha battezzato il Signore?  Ovunque nel mondo, i cristiani celebrano la sua memoria, tutte le generazioni lo proclamano beato e le sue virtù riempiono la Chiesa del loro profumo. Giovanni non ha vissuto solo per se stesso, e non è morto solo per se stesso.

Lanspergo il Certosino, sec. XVI, Omelia per la Decollazione di San Giovanni Battista, in Opera omnia, t.2, pp. 514-515.518-519.

Fondiamo in Cristo la nostra fede

«Chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia» ( Mt 7, 24-25). Perciò il Signore, che ci vuole fedeli fino alla morte e salvi per sempre, non attraverso il riposo ma attraverso la fatica, dopo tutte le beatitudini e i vari precetti ha esposto come conclusione questa parabola, per insegnarci che sarà salvo chi avrà perseverato sino alla fine. Nella casa edificata sulla roccia, che non poté essere scossa da nessuna tempesta, volle raffigurare la nostra salda fede in Cristo, che non può essere scossa da nessuna tentazione del diavolo. Ma opponendoci a lui con le armi spirituali, dopo averlo vinto, meriteremo di ricevere la corona. La casa dunque può significare la santa Chiesa, oppure anche la nostra fede, fondata sul nome di Cristo, come lo stesso Signore disse al beato apostolo Pietro: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» ( Mt 16,18). Perciò, dilettissimi, finché è tempo di costruire, fondiamo in Cristo la nostra fede e arricchiamoci interiormente di opere sante, affinché quando verrà la tempesta, cioè il nemico occulto, invece di annientarci sia stroncato. Ma anche adesso il nemico è con noi, è nascosto in noi, come ci avverte l’apostolo: «Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente, va in giro cercando chi divorare»( 1 Pt 5, 8). Quindi miei cari, chi nel tempo favorevole avrà costruito da uomo saggio e solidamente, nelle avversità è trovato più forte, ma anche più degno di lode, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a

quelli che lo amano (Gc 1,12). E allora carissimi, vigiliamo, lavoriamo alacremente, affatichiamoci affinché con l’aiuto di Cristo possiamo superare le difficoltà e conseguire la felicità eterna. Epifanio Latino, sec. IV.

Dai frutti si riconosce l’albero

Guardatevi dai falsi profeti dice Gesù, questi vengono a voi travestiti da pecore, ma dentro son lupi rapaci (Mt, 7, 15). Il Signore ci avverte che le parole adulatrici e le dolci moine debbono venir giudicate dai frutti ch’esse producono. Dobbiamo perciò giudicare ognuno non quale si presenta a parole, ma quale è realmente nei suoi atti. Poiché sovente sotto apparenze di agnello si dissimula livore di lupo. E così come i pruni non danno uva e i rovi non producono fichi. come gli alberi cattivi non portano buoni frutti (cf. Mt. 7, 16), ci dice Gesù, non è certo nelle belle parole che consiste la realtà delle opere buone, ma tutti devono venir giudicati dai propri frutti.
No, un servizio che si limitasse a belle parole non è sufficiente ad ottenere il Regno dei cieli, e non è certo colui che dice:. Signore, Signore (Mt. 7,21), che sarà l’erede. Infatti, qual merito si ha nel dire: «Signore» al Signore? Cesserebbe egli forse d’essere il Signore se non lo chiamassimo così? Su che si appoggerebbe una santità che si limitasse all’invocazione di un nome, dato che la strada del Regno dei cieli si trova nell’obbedienza alla volontà di Dio, più che nel pronunciare il suo nome? Molti mi diranno in quel giorno: Signore! Signore! Non abbiamo noi profetato nel tuo nome? (Mt, 7, 22). Una volta ancora Gesù condanna l’arroganza dei falsi profeti e le simulazioni degli ipocriti che si procurano gloria con la potenza della parola. Allorché impartiscono un insegnamento profetico, scacciano i demoni o compiono azioni analoghe, si illudono che sia questo a procurare loro il Regno dei cieli, come se qualcosa appartenesse loro personalmente in tali parole e in tali opere! No, è la potenza di Dio, da essi invocata, che opera tutto. In realtà, solo mediante la lettura dei libri sacri si acquisisce la scienza della dottrina e solo nel nome di Cristo son messi in fuga i demoni. Bisogna perciò aggiungere qualcosa di nostro, se vogliamo arrivare alla beatitudine eterna. Dar qualcosa del nostro io più intimo: volere il bene, evitare il male e obbedire senza esitazione ai precetti divini. Questa disposizione spirituale ci farà riconoscer da Dio come suoi. Inoltre, conformiamo i nostri atti alla sua volontà, invece di farci grandi con la sua potenza. Poiché egli escluderà e respingerà coloro che si sono allontanati da lui con l’iniquità delle loro opere.

 Ilario di Poitier, Commentario su S.Matteo, 6, 4-5.